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Quando la bellezza diventa patologia

Quando la bellezza diventa patologia

“Bellezza è l’eternità che si contempla in uno specchio;
E noi siamo l’eternità,
E noi siamo lo specchio.”

– Khalil Gibran –

Ogni giorno i nostri medici si trovano di fronte a pazienti che vogliono migliorare l’aspetto fisico e correggere le proprie imperfezioni. In alcuni casi però, il paziente può avere una visione distorta della propria immagine, che lo porta a non accettarsi e a pensare in maniera ossessiva ai propri difetti, siano essi reali o immaginati. La parola dismorfofobia (dal greco dis-morphe: forma distorta e phobos: timore) significa letteralmente avere timore della forma distorta. Questo tipo di disturbo fu descritto per la prima volta nel lontano 1886 da Enrico Morselli, medico e psichiatra italiano.

Ma come si manifesta questa forma fobica?

Tale di disturbo si manifesta con la visione distorta di sé e la percezione estetica del proprio corpo (o di alcune parti di esso) che ne deriva è completamente alterata. Spesso questa patologia può essere accompagnata da altre patologie legate al comportamento come: disturbo evitante di personalità, disturbo antisociale di personalità, disturbo borderline, narcisismo e disturbo fobico-ossessivo. La persona che soffre di dismorfofobia vive costantemente il pensiero di essere brutta e con il passare del tempo questa fobia cresce ed evolve, trasformandosi in una convinzione tale per cui l’individuo passa dall’avere paura di qualcosa (l’essere brutto) all’identificazione vera e propria, quindi si pensa di essere quel pensiero. Quando la sofferenza è molto profonda, il pensiero dell’individuo che ne è affetto è quello di essere costantemente depresso, angosciato e brutto, con la convinzione che la “bellezza” potrebbe cambiare tutto.

La percezione di sé stessi e degli altri

Si passa dal volersi migliorare, al volersi correggere o mascherare, ma comunque sia, l’esito finale rimarrà sempre lo stesso: costante insoddisfazione, qualsiasi cosa si faccia.Il vero problema sta nella percezione di sé stessi, sempre molto lontana dall’essere presentabili. La percezione non incide solo sulla visuale delle parti del corpo non accettabili, ma si riflette sul terrore di imbruttire e invecchiare. Chi si ritiene brutto, finisce per vedere gli altri belli, innescando un gioco di proiezioni in cui è possibile vedere negli altri ciò che è ritenuto mancante in sé stessi. È come se la parte bella non venisse assimilata, ma vista come esterna, lontana e irraggiungibile. Così i dismorfofobici ricorrono in modo compulsivo alla chirurgia estetica, che però porterà sicuramente a un risultato deludente. In realtà, per chi ha paura della bruttezza, quello che conta non è il risultato dell’intervento chirurgico, ma le pretese che tale fobia venga eliminata.

Percezione e autostima

Questo ci fa comprendere che l’angoscia interiore non dipende dall’essere belli o brutti, ma è un fenomeno a sé stante. Qui si parla in realtà di autostima, che si basa sulla percezione del nostro essere e che investe cinque importanti aree della nostra vita quotidiana: sociale, scolastica, professionale, familiare, estetico-corporea, intellettuale e culturale. Nelle forme più gravi c’è addirittura un’alterazione delle percezioni visive e propriocettive, ovvero la rappresentazione del proprio corpo, dei movimenti e delle proporzioni, fino a raggiungere un vero delirio, con sentori psicotici. Nelle forme più acute, tali sentori possono sfociare in sintomi di schizofrenia o disturbi dell’identità. Tra i disturbi: disturbo dell’identità di genere, disturbo dissociato, disturbo dell’integrità corporea o dismorfia corporea, associata all’apotemnofilia, in cui il soggetto odia talmente tanto una parte di sé che ritiene imperfetta (o estranea) da volerla nascondere, o eliminare.

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